i Formaggi

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... gli antichi mestieri

 

Cenni Storici:

La trasformazione del latte in prodotto caseario si accompagna alla storia dell’uomo sin dalle origini, rispondendo all’esigenza di conservare nel tempo un prodotto così essenziale per l’alimentazione come il latte.
La trasformazione del latte coincide con la fase di passaggio dalla situazione di nomade cacciatore a quella di pastore e agricoltore, connotata da una maggiore stanzialità. Tracce dell’importanza del formaggio si ritrovano nella civiltà egizia ed ebraica (nella Genesi Abramo offre latte inacidito agli angeli che gli hanno fatto visita), ma è sicuramente con il diffondersi della civiltà greca e con la sua successiva “assimilazione” da parte di Roma che l’uso del formaggio assume una dimensione essenziale. Non a caso, infatti, la mitologia greca assegna al pastore Aristeo, figlio della ninfa Cirene e del dio Apollo, la paternità del primo “cacio”, Polifemo nell’Odissea produce formaggio e Aristotele, nella “storia degli animali” cita i formaggi siciliani di latte ovino e caprino prodotti con l’impiego del caglio per accelerare la coagulazione. Con la conquista romana della Grecia la produzione del formaggio conosce un notevole sviluppo e comincia ad assumere una connotazione più “strutturata”: i romani erano gran produttori e mangiatori di formaggi, sia freschi che stagionati e come componenti di piatti. I principali tipi di formaggio in uso presso i romani sono descritti da Terenzio Varrone nel II sec. a.c. che menziona caci vaccini, caprini e pecorini, freschi e stagionati, soffermandosi sull’influenza delle diverse qualità di latte sulla produzione, sui migliori coagulanti e sul modo migliore di produzione. Poche notizie rimangono della produzione casearia del Medioevo. Con la caduta dell’impero romano, gli allevatori abbandonarono la campagna per fuggire alle razzie dei barbari e si rifugiarono sulle Alpi. La rinascita dell’arte casearia deve attendere l’anno Mille e l’avvento del monachesimo. I monaci cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle, rivoluzionarono le tecniche agricole introducendo l’irrigazione dei campi che si diffuse in tutta la regione favorendo l’allevamento bovino e la produzione di grandi quantità di formaggio. La necessità di conservare le grandi quantità di latte portò alla produzione di grossi formaggi a pasta dura adatti alla conservazione, gli antenati del Grana. Nascono così i grandi centri aziendali padani, detti cascine dalla trasformazione del latte in “caseus”. Nel 1200 la valle padana diventa il principale mercato caseario d’Europa e nel 1300 i formaggi di Piacenza e di Lodi sono esportati. Il tredicesimo secolo vede anche la nascita dello Stracchino di Gorgonzola, in connessione con la transumanza delle vacche che in autunno rientravano dalla Svizzera nelle stalle della pianura milanese. Affaticate dalla marcia le bestie davano un latte “stracco” che produceva cagliate slegate e gonfie, soggette all’ammuffimento. Ancorché sia impossibile rintracciare l’esatta origine storica del Grana, ne fa menzione Boccaccio nella terza novella del Decameron nel 1348 e, più diffusamente Pantaleone da Confidenza, medico presso la corte sabauda di Torino, nella Summa lacticinorum del 1477, primo trattato organico sui derivati del latte, autentica enciclopedia dei formaggi dell’Europa tardo medievale. Di pari passo con lo sviluppo della produzione italiana si muove anche quella degli altri paesi d’Europa. Latte, burro e formaggio erano apprezzati anche in India: esistono testimonianze nel diciassettesimo secolo sulle abitudini alimentari dei persiani che si accontentavano di un poco di formaggio e latte acido dove inzuppavano un pane privo di gusto e molto scuro aggiungendo, al mattino, il riso. A fine ‘600 anche in Italia si comincia a pensare ad abbandonare la produzione itinerante seguendo le mandrie per preferire la produzione in centri attrezzati. Nascono così i primi caseifici industriali, favoriti anche dal risorgere delle scienze agrarie ad opera, fra l’altro, dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Non vi erano conoscenze in merito alla composizione e alla natura del latte, originariamente e fantasticamente considerato come una specie di sangue riciclato nel corpo delle bovine attraverso gli organi genitali. Con l’illuminismo del ‘700, le sue indagini scientifiche e, in particolare, l’invenzione del microscopio, si apre la via per lo sviluppo della scienza lattiero-casearia, grazie allo sviluppo della microbiologia, fondamentale per comprendere l’evoluzione del formaggio. Nel Novecento la diffusione della cultura casearia, aiutata dalla nascita di istituti scolastici ad indirizzo lattiero-caseario, favorisce la produzione industriale di formaggi, che si caratterizza peraltro da un’elevata standardizzazione, ancorata a tecniche valide sotto il profilo igienico sanitario ma poco rispettose della biodiversità. Fortunatamente in parallelo con lo sviluppo industriale comincia a diffondersi l’idea di produzione tipica, strettamente connessa con il territorio, che trova una concreta consacrazione nell’affermarsi, nella seconda metà del novecento, dei concetti di DOP e IGP. Il secondo millennio vede il consolidarsi a livello europeo di tale tendenza, con una maggiore consapevolezza, da parte delle autorità competenti, della necessità di garantire la sopravvivenza delle produzioni tipiche.


IN PIEMONTE:
In Piemonte le originarie popolazioni Gallo-Liguri conoscevano già l’arte di fare il formaggio e la conquista romana non fece altro che incrementare la produzione, già diffusa nelle vallate pedemontane, ricche di armenti e di alpeggi. Con il Medioevo e nei secoli successivi la produzione casearia piemontese ha assunto sempre più aspetti propri e originali. Ciò ha fatto sì che il Piemonte diventasse una delle regioni italiane a più radicata tradizione casearia. L’attività casearia era ovviamente originariamente assai sviluppata in ogni vallata alpina e prealpina. Ancorché ciascuna malga producesse quantità relativamente modeste, la produzione casearia ricopriva un ruolo non secondario nell’economia delle popolazioni di montagna alimentando una certa attività commerciale. Pantaleone da Confienza nella “Summa Lacticinorum” loda ampiamente la qualità dei formaggi dei malgari piemontesi soffermandosi in particolare su tre vallate del Piemonte nord-occidentale: la Valle di Susa, la Valle di Lanzo e la Valle di Locarno e Ceresole. Nella Valle di Locarno e Ceresole si producevano formaggi di un certo pregio, caratterizzati dalla crosta rossastra, a base di latte di mucca, grasso, dal sapore forte e acre, con notevoli potenzialità di invecchiamento. La Valle di Lanzo e le vallate laterali andavano famose per una varietà di formaggio abbastanza grasso, la cui descrizione riporta alla Toma di Lanzo, ancora attualmente prodotta in piccoli caseifici. La Valle di Susa, in particolare la zona del Moncenisio, si distingueva per una produzione casearia di un certo pregio, grazie all’eccellente qualità dei pascoli, prodotti con la medesima
tecnica ancora oggi usata per la produzione del Moncenisio. Anche in pianura peraltro il settore caseario ha ben presto assunto un’importanza significativa, in particolare dopo l’anno Mille, allorquando, ad opera dei complessi monastici, iniziarono le opere di bonifica e miglioramento fondiario, che, aumentando la disponibilità della produzione foraggiera, hanno dato impulso all’allevamento del bestiame, in particolare di quello bovino. Il formaggio tipico prodotto nella pianura padana nel 1500 è un formaggio duro, a pasta cotta, molto simile all’attuale formaggio grana, particolarmente adatto alla lunga stagionatura. Ed è proprio nella pianura padana che riesce per prima ad utilizzare il rinnovamento tecnologico del novecento, realizzando un impressionante incremento dell’allevamento bovino e della produzione di latte e formaggi. Da sempre quindi il Piemonte è una regione caratterizzata da forti contrasti, nella quale è possibile trovare, intervallate da dolci colline, vaste pianure e le vette più alte d’Europa. Condizioni climatiche, topografiche, pedologiche e culturali diverse in ogni singola zona hanno quindi determinato processi ed evoluzioni tecnologiche molto differenti. Non a caso in Piemonte si trova la più vasta gamma di formaggi reperibile in Italia e ben nove formaggi a Denominazione di Origine sul totale dei 31 prodotti in Italia. Non bisogna peraltro nascondersi che la tradizione casearia piemontese non sfugge ai pericoli rappresentati dalla globalizzazione, che impone produzioni massive, prezzi competitivi, costanza produttiva e sicurezza sanitaria. In questo contesto la figura dell’artigiano nel comparto caseario può rivelarsi strategico, costituendo il momento di mediazione fra tradizione e necessità di mercato. Fondamentale in tale contesto è il ruolo di trasmissione alle generazioni più giovani della cultura casearia, al fine di impedire che il secolare patrimonio di conoscenza vada definitivamente perduto.
Bibliografia
Fernand Braudel –Le Strutture del quotidiano- Editore Giulio Einaudi 1982
Dispensa a cura di Armando Gambera -Master of food- I formaggi corso di Primo Livello- 2001 Slow
Food
Regione Piemonte –Dolci, amare, forti, delicate. Storie sul gusto del produrre a cura di Antonio Angelo
Baussano- Editore Stendhal febbraio 2001
Regione Piemonte –Artigiani di Gusto- HAPAX Editore ottobre 2000 

Toma Piemontese DOP

E' prodotta ancora come descritto nei manuali medioevali in ben 7 Provincie del Piemonte (Biella, Novara, Vercelli, Torino, Cuneo, Asti e Alessandria). È composto di latte vaccino intero o parzialmente scremato e viene stagionato in “crota” (cantina) da 15 a 60 giorni, anche se a volte questi tempi vengono prolungati per esaltarne sapore, consistenza e sapidità. La Toma è la degna erede di una tradizione antichissima, che si pensa possa risalire addirittura ai tempi dell’Impero Romano.

Robiola

di latte vaccino

Robiola di Roccaverano DOP

La sua sapiente lavorazione prevede l’impiego in prevalenza di latte caprino o misto latte ovino e vaccino, e una stagionatura dai 5 ai 20 giorni. Si consuma quindi quasi fresca, a volte sott’olio o come ingrediente di tipici condimenti, e il suo tipico sapore lievemente piccante è una vera delizia per i gourmet. Cambia con le stagioni a seconda delle erbe dei pascoli (soprattutto timo e serpillo). E' considerato da tutti gli esperti il miglior formaggio caprino italiano ed infatti è l'unico DOP. Il Disciplinare segue ancora il procedimento semplice e naturale tramandato dall'antichità e consente di produrla solo in alcuni comuni dell'Alta Langa (Bubbio, Cessole, Loazzolo, Mombaldone, Monastero Bormida, Olmo Gentile, Roccaverano, San Giorgio Scarampi, Serole e Vesime nella Provincia di Asti; Castelletto D'Erro, Denice, Malvicino, Merana, Montechiaro d'Acqui, Pareto, Ponti, Spigno Monferrato e Cartosio nella Provincia di Alessandria). Della Robiola di Roccaverano si fa menzione nelle cronache fin dall'anno 1000 ma è certo che le sue origini risalgono all'insediamento molto più antico, dei celti liguri. Il Re Vittorio Emanuele II di Savoia amava cacciare in queste regioni meridionali delle Langhe ma soprattutto amava fare sosta presso le fattorie per mangiare con i contadini.

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ultimo aggiornamento: 05/07/2009